martedì 29 marzo 2011


COSA E’ L’ISLAM

"Rari e felici i tempi in cui è permesso di pensare ciò che si vuole, e di dire ciò che si pensa" (Tacito, Historiae, I,1)

LA CRITICA NON CONOSCE TESTI INFALLIBILI (Ernest Renan)


Il Corano è il Libro in cui non ci sono dubbi! (sura 2,2)

Non abbiamo dimenticato nulla nel Libro! (sura 6.38)

Credere è obbedire ad Allah e al suo profeta Maometto.


L’islam è una concezione ideologica di vita, un sistema culturale in cui aspetti religiosi sono strettamente legati ad aspetti comportamentali obbligatori. Nell’islam non c’è distinzione tra vita spirituale e vita materiale, tra peccato e reato, e dunque, tra religione e Stato, e tra religione e politica.

         Tutto è religione nell’islam, fondamento del quale è il Corano, Libro dei segni divini, diretta parola imperscrutabile di Dio (Allah) rivelata a Maometto, che parla in nome di Allah e ne annuncia la volontà. Il Corano è la principale fonte giuridica della legge islamica. Gli elementi della fede sono spiegati in dettaglio dai teologi musulmani in vari libri e commentari. Nell’islam, la scienza giuridica è subordinata alla religione, giacché fonte del diritto è Allah, che ha espresso direttamente la sua volontà a Maometto mediante il Corano. Questo Libro sacralizzato rappresenta la norma di vita per i credenti musulmani. Alle prescrizioni del Corano i seguaci del Profeta hanno accluso i suoi insegnamenti (hadith), che costituiscono la tradizione (sunna). Fanno parte della tradizione anche le biografie del Profeta (sirat) e i commenti dei teologi (tafsir). La disobbedienza alla legge islamica è considerata una grave forma di perversione. Il disconoscimento della rivelazione e dei dogmi essenziali della fede sono indici di ignoranza. L’allontanamento dal giusto cammino decretato da Allah è colpevolizzato come devianza. Questi tre peccati (reati) pongono di fatto il musulmano fuori dalla comunità islamica (umma) e tra i miscredenti.

Di qui la problematicità per l’islam, che ha una concezione onnicomprensiva della realtà (subordinata alla volontà divina), di transitare verso istituzioni di tipo democratico (poiché la democrazia pone la fede nello Stato al posto della fede in Dio e, inoltre, mette l’individuo, non Dio, al centro del sistema giuridico). Totalmente inconcepibile per i musulmani è il secolarismo (concezione laica dello stato, che distingue e separa il temporale dallo spirituale, lo stato dalla religione). Ne consegue che i musulmani credenti, che vivono negli stati non islamici, avvertono una continua minaccia alla loro identità religiosa e culturale, giacché per la loro fede è inammissibile un diritto positivo separato dalla legge di Dio. Ciò implica che i musulmani radicalizzati, che migrano nei paesi occidentali, ancorché osservino apparentemente le leggi in vigore nello stato che li accoglie (che sono pur sempre leggi umane, non divine), dissimulano l’integrazione, continuando a restare spiritualmente legati all’islam e, nel loro intimo, tendenzialmente avversi agli infedeli. Il credente musulmano, infatti, può manifestare integralmente la sua fede solo in una comunità islamica, dove vige la norma originaria divina, sulla quale è strutturato l’ordine sociale e politico della migliore comunità (umma), che - recita il Corano (sura 3,110) - Allah abbia creato sulla terra. Il pensiero politico-religioso islamico non contempla l’idea di nazione, quale entità coincidente con uno stato territoriale. La peculiarità dell’islam è la concezione di una comunità di popoli uniti dalla fede islamica (umma).

L’islam consiste sostanzialmente nella fede nell’unicità di Dio. Unicità che non si concilia con la definizione del Corano (cfr. sure 23,14; 37,125), dove è scritto che Allah è “Il migliore dei Creatori”. La fede nell’unicità di Dio implica la sottomissione incondizionata alla sua volontà. Principi della fede islamica sono: credere in Allah, nei suoi profeti messaggeri (sura 2,136), nei libri sacri (Torah, Vangelo, Corano), negli angeli, nella predestinazione (sure 57,22; 9,51), nel giorno del giudizio universale (sure 99 e 21,47). Con il termine “islamismo” si sottolinea l’aspetto radicale dell’islam, consistente nell’interpretazione e nell’applicazione rigorosa dei principi trascritti nel Libro sacro. L’islamismo è un’ideologia politico-religiosa, che aspira a creare un nuovo ordine, di stretta osservanza alla legge islamica. Di tendenza moderata è il pensiero degli intellettuali riformisti (poco tollerati e spesso perseguitati nei paesi islamici), che tendono ad adattare l’islam alla modernità al pari di altre fedi religiose.

Il sacro Corano, secondo i musulmani, è stato rivelato da Allah al profeta Maometto durante gli ultimi ventitré anni della sua vita (dal 610 al 630 era volgare). L’autore del Libro (per gli islamici è Allah), ancorché identifichi Maometto come un peccatore (sure 40,55; 48,2; 47,19), asserisce che a lui si deve obbedienza come a Dio (sura 4,80). L’attestazione della fede nell’unicità di Dio (sure 2,255; 112,1-4) è connessa all’osservanza obbligatoria degli atti di culto (i doveri fondamentali o pilastri dell’islam). Tali atti riguardano la professione giornaliera di fede in Allah e nel profeta Maometto (sure 37,35; 48,29), l’orazione rituale ripetuta cinque volte al giorno (sure 11,114; 24,58), la donazione obbligatoria (sura 9,103), il digiuno dall’alba al tramonto nel mese di Ramadan (sura 2,183-185), il pellegrinaggio ai luoghi santi almeno una volta durante la vita (sura 2,196-197), il fattivo impegno sulla strada di Dio (jihad), che comprende la lotta fisica, difensiva o offensiva (c.d. “guerra santa” o “jihad”), legittimata dal Corano, cioè da Allah (cfr. sure 2,190-194.216; 4,76.84.141; 5,33; 8,12-13.15-17.60-61.65; 9,3.5-6.13-14.29.39.73.111.123; 17,33; 22,8-9.19-22.39-40; 25,52: 33,50; 47,4; 48,29). Il jihad, se per un verso è finalizzato a garantire la libertà di culto per i musulmani, per un altro verso è finalizzato alla conversione e sottomissione dei non credenti. Il musulmano vive in conformità alle prescrizioni del Corano, la sacra parola che obbliga a seguire determinati comportamenti rituali e norme di vita sociale secondo dettami decretati nel VII secolo dell’era volgare (e.v.) dal Profeta legislatore Maometto, che sarebbero stati a lui rivelati da Allah. Questo periodo storico è assunto dai musulmani come modello insuperabile da imitare. Ciò, ovviamente, pone il Corano fuori dalla storia, con l’inevitabile conseguenza della sua inattualità rispetto alle mutate condizioni socio-politiche di vita dei popoli. L’anti storicità del Corano ne irrigidisce il significato, ponendolo in contrasto con la moderna concezione di vita. L’emancipazione delle popolazioni islamiche resta dunque ostacolata da un’atavica cultura religiosa di sottomissione.

L’islam è, secondo il Corano, la religione naturale dell’uomo: l’unica vera religione monoteistica connaturata a tutti gli uomini (sura 30,30), definitiva (sura 5,3), completamento delle precedenti rivelazioni (sura 2,136). L’islam è religione profetica, giacché rivelata ab origine mediante profeti legislatori, l’ultimo dei quali, sigillo dei profeti, è Maometto (sura 33,40). Le precedenti rivelazioni, secondo il Corano, sono state falsificate da ebrei e cristiani, che hanno tradito i precedenti profeti legislatori (i principali dei quali sono: Adamo, Noè, Abramo, Mosè, Gesù). Ne consegue che il Corano, avendo ripreso e perfezionato il messaggio originario, rivelato da Dio ai precedenti profeti, abroga ebraismo e cristianesimo.

L’islam non è una religione misterica, com’è quella cristiana. La professione di fede nell’unicità di Dio e nella missione del profeta Maometto non richiede l’intermediazione né del magistero ecclesiastico né di un’autorità docente centrale. Ciò che vincola i musulmani è la pratica legale degli atti di culto, cioè l’agire in conformità alle prescrizioni rituali trascritte nel Corano (ortoprassi). L’interpretazione del testo sacro, elaborata da esperti della legge islamica (ulama), seguaci di una delle quattro grandi scuole di scienza giuridico-religiosa islamica, ha carattere vincolante solamente per i loro seguaci. Del resto, il Corano, pur avendo la pretesa di essere un “Libro chiarissimo”, “esplicito” (sura 6,59 e altre), dove nulla è stato dimenticato (sura 6,38), richiede necessariamente, come qualsiasi altro testo, appropriata interpretazione (che non può tralasciare di considerare le mutate condizioni storiche). Esistono quattro principali scuole islamiche teologico-giuridiche: la malikita (di stretta aderenza alla sunna e al conservatorismo), la hanafita (la più liberale e tollerante nell’interpretazione della legge islamica), la shafi’ita (che solleva la sunna all’altezza del Corano, svalutando l’analogismo e il consenso tra dotti), la hanbalita (caratterizzata dall’interpretazione letterale del Corano e della sunna nonché dalla stretta osservanza della sharia, la legge islamica). I reati sono suddivisi in tre categorie: quelli contro Allah (apostasia, bestemmia, adulterio, furto, ecc.), puniti con la morte o con pene corporali severe; quelli di sangue (omicidi e lesioni corporali), puniti con la legge del taglione; quelli nocivi alla buona convivenza comunitaria (disobbedienza al marito, usura, vendita di bevande alcoliche, sodomia, ecc.), punibili con pene meno severe. La ribellione (fitna) alle leggi di Allah è considerata peggiore dell’omicidio, perciò è soggetta alla massima pena (sure 5,33; 2.191.217). L’autore del Corano afferma che, se Allah volesse, renderebbe credenti tutti gli uomini. Ma Allah non vuole; tuttavia esorta Maometto, affinché costringa i miscredenti a credere (sura 10,99). L’autore del Libro asserisce altresì che nessuno può credere, se Allah non lo permette (sura 10,100). Poi avverte che chi non crede prepara da sé la propria rovina (sura 6,12). Aggiunge che Allah non è responsabile di chi si allontana dalla Retta Via (sura 10,108). Evidenti sono le contraddizioni rilevabili nelle suddette proposizioni.

Il Corano è creduto dai musulmani Verbo di Dio, increato (sura 85,22), dunque eterno, sacro, immodificabile. Ha la pretesa di essere un “Libro con la verità” (sura 3,3), esente da errori e contraddizioni (sure 4,82; 18,27), rivelato secondo scienza (sura 4,166), in lingua araba esplicita (sura 26,195). Qualsiasi traduzione del sacro testo – sostengono i musulmani - sarebbe un’interpretazione non soddisfacente, poiché non comunicherebbe al lettore l’intero messaggio contenuto nel testo originario arabo (e si perderebbe anche l’effetto retorico dello stile poetico in cui è stato redatto). La sua forma letteraria, artistica, è ritenuta un miracolo straordinario, un dono di Allah, essendo Maometto definito “Profeta illetterato” (sura 7,157-158), non un poeta (sura 36,69), ma uomo ispirato da Dio (che Maometto fosse analfabeta è contraddetto da numerosi hadit nella raccolta di Al-Bukhari). Nessun uomo – si afferma nel Corano - potrebbe riprodurre un testo simile, essendo inimitabile (sure 10,38; 17,88). In verità, forme eloquenti, espressive più del Corano, sono sempre esistite. Anche la Commedia di Dante Alighieri è un capolavoro inimitabile. Boccaccio la definì “divina”, non perché dettata a Dante da Dio, ma per la grandezza del poema, in cui è racchiuso tutto lo scibile del cosmo medievale.

Il periodo della rivelazione islamica si distingue in “meccano” (dal 610 al 622) e in “medinese” (dal 622, anno dell’Egira, cioè dell’emigrazione di Maometto e dei suoi seguaci dalla Mecca a Medina, al 632, anno della morte del Profeta). Nelle sure di ciascun periodo possono esserci versi attribuibili all’altro periodo. La complessa struttura del Corano si articola in 114 capitoli (sure), contenenti un numero variabile di versi, repentini cambiamenti di stile, vari e disomogenei argomenti. Le sure si susseguono non secondo un ordine tematico né secondo l’ordine cronologico della rivelazione, ma in base alla lunghezza dei capitoli (i più lunghi sono posti all’inizio e sono generalmente i più vicini a noi nel tempo). Per effetto di un principio coranico (sure 2,106; 13,39; 16,101; 17,86; 22,52), i versi rivelati in un periodo posteriore abrogano i versi anteriori discordanti (ciò implicherebbe la non perfezione del Verbo divino). Taluni versi del Corano possono anche abrogare le norme (hadith) desunte dalla tradizione (sunna) o essere abrogati da queste. La teoria giuridica dell’abrogante e dell’abrogato, se per un verso cerca di giustificare le apparenti contraddizioni del testo, per un altro verso appare in contrasto con quanto si afferma nel Corano, cioè che nessuno può cambiare le parole di Allah (sura 6,34.115 e altre), essendo state da lui forgiate (sure 10,37; 2,79).

La rivelazione (ossia le prime parole del Corano) scesa su Maometto attraverso l'arcangelo Gabriele (nella grotta Hera -Ḥirā- sulla montagna di Luce) durante il periodo meccano, consiste principalmente in temi etici e spirituali. Si tratta di brevi, poetici capitoli (sure), che mirano soprattutto ad ammonire credenti e miscredenti riguardo alla fine dei tempi (escatologia). Nel Giorno del Giudizio, infatti, tutti i morti risorgeranno per render conto delle loro azioni, in base alle quali saranno premiati o castigati. Non mancano propositi di rivalsa punitiva nei confronti degli increduli, non solo nell’aldilà, ma anche durante la loro vita. Allah si esprime direttamente, parlando in prima persona singolare o plurale, ma spesso parla anche in terza persona (il che dà motivo di dubitare sull’autenticità della divina rivelazione). Molte sure iniziano con un giuramento di Allah per sancire pretese assolute verità. Ogni evento, che volga o al bene o al male, è già stato preordinato da Allah (teologia della predestinazione). Egli può fare quello che vuole (sura 13,39; 14,27; e altre). Non c’è altro da fare che rassegnarsi alla volontà di Allah (mashallah).  La rassegnazione del musulmano si accompagna alla speranza che nel futuro “se Allah vorrà” (inshallah) qualcosa accadrà o non accadrà (ideologia fatalista). Nel periodo di vita alla Mecca, Maometto non ha un potere effettivo per costringere gli infedeli a credere: egli è solo un ammonitore, senza alcuna autorità (sura 88,21-22), perciò si limita a minacciare castighi da parte di Allah. In seguito, quando a Medina diverrà capo di una comunità organizzata di credenti, imporrà con la spada il suo credo (cfr. la “Vita del Profeta di Allah”: “Sirat Rasulallah”). Le guerre di conquista o di propaganda dei musulmani hanno diffuso e consolidato un credo religioso, che si presume essere stato rivelato da Allah a Maometto durante una notte di meditazione in una grotta sul monte Hira, vicino a La Mecca.

            Il sonno profetico e l’acquisizione di abilità poetiche da parte di Maometto trovano precedenti nell’esperienza catartico-incubatoria della tradizione greca. Per esempio, Pausania (libro IX, 30, 10) racconta che un pastore, addormentatosi, appoggiato alla tomba di Orfeo, si mise a cantare dei versi del poeta, ritenuti d’ispirazione divina. Epimenide cretese ebbe la sua visione in una grotta durante un sonno profetico. Esiodo e Archiloco di Paro ricevettero l’ispirazione poetica dalle Muse. Pitagora visse per tre anni in una grotta cretese in cerca di ispirazione.  Zaleuco, legislatore di Locri Epizefirii, fu ispirato dalla dea Atena.  Parmenide descrisse nel suo poema filosofico la propria esperienza di viaggio “iniziatico” fra gli dèi. I testi orficici descrivono le discese iniziatiche nell’Aldilà (katabaseis).

Le sure del periodo medinese, più ampie, trattano temi sociali e politici e disciplinano i vari aspetti pratici di vita comunitaria. Si afferma l’uguaglianza tra gli uomini, indipendentemente dalle appartenenze etniche e sociali (sura 49,13), ma si nega l’uguaglianza di genere (cfr. sure 4,34; 2,228 e altre). Unico discrimine è quello tra credenti e miscredenti. I primi costituiscono la comunità islamica militante (umma), la migliore che sia stata creata, attiva nel contesto sociale e familiare, ligia alle prescrizioni coraniche (sure 3,104.110.113-115; 47,38). Tutti i membri della umma appartengono alla “Casa dell’islam” (dar al-islam, il territorio ove vige la legge di Allah), contrapposta alla “Casa della guerra” (dar al-harb, il territorio ove è lecito condurre la lotta per la diffusione dell’islam). Per i credenti sono previsti premi in terra e paradisi afrodisiaci in cielo (sure 38,49-54; 44,54; 47,15; 52,20; 55,46-76; 56,10-40; 75,11-22; 78,31-34; 83,22-28). I miscredenti sono giudicati i più abbietti di tutta la creazione. Il Corano prescrive per loro il perpetuo fuoco dell’Inferno, (sura 98,6 e altre). I miscredenti, giacché non sono uguali ai credenti, cioè ai musulmani, non possono avere i medesimi diritti e devono essere combattuti e sottomessi (sura 9, 29-30).

I musulmani hanno l’obbligo di obbedire ai governanti, purché svolgano le loro funzioni con giustizia, in ottemperanza alle prescrizioni del Corano e della sunna (la raccolta effettuata dai seguaci del Profeta di detti e fatti a lui attribuiti). Tali prescrizioni sono ritenute espressioni della volontà divina, perciò sono state poste a fondamento del diritto islamico (sura 4,59). Ne consegue che le leggi civili, che violano le disposizioni delle fonti sacre, non devono essere osservate. I credenti sono autorizzati a difendersi dai loro oppressori (sura 22,39), combattendoli, anche se non lo gradiscono (sura 2,216). Devono inoltre partecipare alle decisioni che riguardano la comunità musulmana (sura 42,38). La consultazione comunitaria nel contesto della umma islamica è teocentrica, finalizzata all’attuazione della volontà di Allah. Il giudizio (cioè il potere), immutabile e insindacabile, appartiene solamente ad Allah (sure 12,40; 6,57). Il musulmano ha l’obbligo di giudicare in conformità alla Legge di Dio rivelata al Profeta (sura 5,49). Ne consegue che non può esserci una comunità di credenti senza uno stato islamico, in cui governanti e governati ubbidiscono ai principi decretati dal Corano e dalla sunna. Per la realizzazione dello stato islamico è lecito il combattimento (sura 2,190-193). I musulmani, che lottano con la loro vita e i loro beni (cioè combattono militarmente) per la causa di Allah, riceveranno immensa ricompensa (sura 4,74.95), non solo nell’aldilà, ma anche nell’aldiquà. Una di tali ricompense nell’aldiquà è di avere rapporti sessuali con le donne fatte prigioniere e rese schiave, anche se già maritate. Il Corano, infatti, presunto Verbo di Dio, legittima la schiavitù e prescrive la liceità dei rapporti sessuali con schiave, indipendentemente dal loro consenso (sure 70,22-30; 23,5-6; 4,24; 33,50 e altre; cfr. altresì le raccolte di hadit e la sirat o vita del Profeta). S’impone una domanda: che tipo di Dio abbia adorato Maometto? Ancora una domanda: come può pretendersi che il Corano, forgiato su costumi medievali, abbia valore eterno e resti immutabile nel tempo? Il Corano è, evidentemente, creazione dell’uomo, perciò è criticabile e riformabile.

Contrastanti sono le norme coraniche relative alla tolleranza in materia di libertà religiosa. Se per un verso si afferma che non c’è costrizione nella religione (sure 2,256; 10,99-100; 18,29), per un altro verso s’incita alla violenza contro miscredenti e apostati (sure 2,104.108-109.161-162.190-193.216-217; 3,85-91.177;4,56.89.91.137.150-151.167; 5,33.8,38-39.54-60.73; 8,12-17.39.65-66; 9,5.14.17.23-24.29-31.36.66.73-74.123; 16,106; 22,19-22.78; 25,55; 35,36-37; 47,4.25; 48,16 e altre simili). I musulmani non devono integrarsi con ebrei e cristiani (sure 5,51; 60,1) e sono autorizzati a non obbedire ai miscredenti (cioè a chi non è musulmano), contro i quali devono lottare con tutti i mezzi per convertirli (sura 25,52). Il solo culto che Allah accetta è quello islamico (sura 3,85). L’apostata può pentirsi e ritornare all’islam, ma se desiste, deve essere ucciso, perché è strumento di sedizione e seminatore di dubbi tra i musulmani (cfr. hadith di Awza’i e di Ikrimah).

Il Corano, come la Bibbia, include esplicite prescrizioni legali (anche minuziose) e tabù alimentari. La liceità della poligamia è sancita dalle sure 4,3 e 2,223. La superiorità dell’uomo sulla donna è affermata dalla sura 2,228 e, in materia di eredità, dalla sura 4,11-12. La sura 4,34 autorizza l’uomo a punirla, in caso di disobbedienza (vero e proprio reato), mediante ammonizione o privazione del sesso o percosse. La testimonianza della donna vale meno di quella dell’uomo (sura 2,282). Le spose possono essere ripudiate, ma non possono ripudiare i loro mariti (sura 2,227-237). La perdita della verginità è reato. La segregazione dei sessi, in taluni paesi islamici, è assoluta. Il delitto d’onore raramente è punito. La Commissione per i Diritti Umani dell’ONU calcola che circa 5000 donne sono uccise ogni anno, soprattutto in paesi islamici “in nome dell’onore”. Talvolta nei tribunali occidentali i “delitti d’onore” beneficiano di uno sconto di pena, perché considerati “atti condizionati da una cultura arcaico-patriarcale”. In paesi teocratici come Nigeria, Sudan, Iran, Arabia Saudita, pervase da una sorta di bigottismo religioso fanatico, le pene coraniche sono applicate alla lettera, come il taglio della mano per i ladri (sura 5,38), la fustigazione per gli adulteri (sura 24,2-4), la legge del taglione per gli omicidi (2, 178-179). In questi e in altri stati islamici, la legge (in conformità a un hadith, vol.8, lib.82, n.810) prescrive per gli adulteri la pena di morte mediante lapidazione. Pene capitali sono prescritte anche per apostati, omosessuali, bestemmiatori.

Dopo la morte di Maometto, la “rivelazione”, trasmessa oralmente e memorizzata dai fedeli, fu recuperata dalla memoria dei superstiti e trascritta in modo frammentario su fogli o frammenti di cocci. In seguito, le diverse, frammentarie versioni furono raggruppate e composte in una redazione ufficiale, canonica (si tenga presente che la storia riguardo alla redazione del Corano è questione aperta e dibattuta). Il Corano riassume e ingloba storie religiose, concetti e pratiche cultuali del giudaismo, del cristianesimo e del paganesimo arabo (come l’adorazione della pietra nera, idolo pagano, custodito nella Kaba alla Mecca). Il cammelliere e pagano Maometto, durante la sua vita di commerciante, ebbe contatti con cristiani ed ebrei, da cui apprese nozioni religiose trasfuse poi nel Corano (discordanti in gran parte con i testi canonici ebraici e cristiani). Critiche contro la nuova religione furono rivolte a Maometto dai contemporanei (sure 25,4-5; 16,103-104). Abbondano nel Corano incitamenti alla violenza per l’affermazione dell’islam (cfr. il c.d. “versetto della spada”, sura 9,5 e altre). Il Corano legittima il jihad, la lotta di propaganda, ma anche militare, contro gli infedeli. Esso è considerato un dovere religioso per liberare il mondo dalla miscredenza. Il jihad è un dovere perenne per il musulmano, finché la dominazione universale dell’islam non sarà raggiunta. I credenti, parola del Corano, avranno il sopravvento sui miscredenti (sura 3,139) né sono responsabili della loro uccisione, combattendoli per il trionfo della causa dell’islam. Tale responsabilità è di Allah (sura 8,17).

Occorrerà del tempo prima che concetti come democrazia, individualismo, diritti umani, uguaglianza di uomini e donne, ecc. possano trovare effettivo spazio nella cultura tradizionale islamica, in cui predominano concezioni di tipo collettivistico e istituzioni politiche che auspicano il califfato o “imamato” (istituzione, peraltro, non di diritto divino, giacché derivante da un consenso politico). Il califfato, terminato il periodo storico dell’impero unico, si è trasformato in dinastie e monarchie ereditarie dispotiche (sultanati) e stati teocratici (wahabismo in Arabia Saudita, rivoluzione islamica di Khomeini in Iran, socialismo arabo in Egitto, ecc.). Una via laica è quella del secolarismo turco (attualmente contrastata da Erdogan). I governanti islamici sono obbligati a far rispettare il diritto islamico, considerato di origine divina. L’islam non ha beneficiato né dei valori apportati in Occidente da Umanesimo, Rinascimento, Illuminismo, né della moderna critica testuale, che ha contribuito a reinterpretare e demitologizzare i sacri testi. L’inadeguatezza dell’islam rispetto alla modernità sta, forse, nell’ostinazione dei musulmani a cercare valori nel contesto storico culturale di un’epoca remota. Il Corano e la sunna del Profeta non possono essere interpretati come verità divina assoluta, eterna e immutabile. La ragione umana non può essere subordinata all’autorità di una tradizione religiosa inattuale, sorta in tempi remoti, che ha la pretesa d’essere verità valida in ogni tempo e luogo. Il Corano non è un codice di vita sociale e politico universale, valido sempre, solo perché si crede - per fede - di origine divina. Né la fede (soprattutto se proclama la violenza) deve poter assurgere a elemento costitutivo della politica. La modernizzazione dell’islam non può prescindere dalla reinterpretazione del Corano, che consentirebbe di adeguare antiche consuetudini ai bisogni odierni. Ciò implica il coraggio di ammettere che il Corano non è parola eterna di Dio, archetipo immutabile della rivelazione creduta esistente “ab aeterno” presso il Trono di Allah (sure 3,7; 6,34.115; 10,15.37.64; 13,39; 15,9; 18,27; 43,4; 56,78; 85,21-22), altrimenti, non c’è possibilità alcuna di adattarla e interpretarla.

 Il Dio che ha ispirato Maometto alla Mecca è diverso da quello di Medina, ma è anche diverso da quello dell’Antico Testamento e da quello mitizzato nel Nuovo Testamento. Dunque, chi è Dio? Quale sarebbe l’incontrovertibile prova che attesti che la rivelazione delle tre fedi monoteistiche è di provenienza divina?

Lucio Apulo Daunio


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